Filosofia dell’educazione: per una pedagogia del soggetto: la centralità della persona negli interventi educativi

“L’educazione dell’uomo comincia alla nascita; prima di parlare, prima ancora d’intendere, egli si istruisce già.” Rousseau1

Quale soggetto?

La formazione delle persone rappresenta un percorso importante che consente di fornire letture adeguate e particolarmente dense delle persone stesse. Nel caso del sottoscritto il percorso di studi si è orientato non a caso in una doppia direzione, quella della filosofia e quella delle scienze umane, in particolare della pedagogia. Per accingermi a scrivere questa riflessione non posso dunque esimermi dal pensarmi prima di tutto come soggetto uomo, in secondo luogo come docente di filosofia, infine e ancor più come pedagogista.

Costruire uno sguardo che sappia rappresentare le tre dimensioni può essere un’occasione di analisi intorno al tema del soggetto e della sua centralità all’interno del sistema mondo.

Vi è una lettura molto suggestiva di Franco Cambi che a mio avviso ricalca una condizione attuale significativa del soggetto.

“Nel corso del Novecento, nelle scienze, nelle filosofie, nella stessa psicologia sociale e nel way of life delle società tecnologiche di massa, il soggetto occidentale, così come era venuto a delinearsi in una lunga storia che si attesta nella Grecia classica per prolungarsi e complicarsi nel Mondo cristiano e poi nella Modernità compiuta, borghese e capitalistica, è stato radicalmente rimesso in discussione e ha prospettato, nella cultura attuale, quella “questione del soggetto” che il Postmoderno non ha affatto archiviata. Anzi: l’ha decantata e ulteriormente complicata. Più volte è stato ripercorso l’iter decostruttivo della soggettività occidentale, attraverso la crisi del cogito (e si pensi a Nietzsche), attraverso il riconoscimento degli a-priori che lo innervano (e si pensi all’inconscio freudiano), attraverso il declassamento della coscienza, attraverso la scoperta delle radici biologiche, già inscritte nel DNA, dei suoi comportamenti.

Tutto ciò ha delineato il declino di quel modello sapiens, theoreticus, dell’uomo occidentale e la rimessa in discussione di ogni umanesimo tradizionale, fino alle tesi estreme della morte dell’uomo”2.

Intorno a queste parole echeggia sullo sfondo una suggestione estrema che destabilizza e nello stesso tempo affascina anche chi come il sottoscritto opera nello sterminato e incerto campo dell’educare. In questo quadro emerge la consapevolezza di vivere una crisi epocale dell’uomo in quanto soggetto, un uomo che non sa più distinguere i confini dell’humanitas, che ha smarrito un orizzonte di senso, e che faticosamente sta cercando nuove identità fino ad immaginare già un post umano.

È nel clima culturale proprio della postmodernità e in relazione con le profonde ripercussioni che tale clima ha sugli individui e sulla loro esistenza – sia personale sia sociale – che la questione del soggetto si rende centrale e prioritaria nella riflessione pedagogica.

Se, infatti, è in riferimento all’acquisizione delle capacità utili a fare fronte all’incertezza, al disorientamento e alla mancanza di senso propri del tempo presente che, oggi, si definiscono i bisogni educativi “fondamentali” dei soggetti, questi sono chiamati alla continua determinazione e costruzione di sé stessi in assenza di modelli, criteri, termini di riferimento certi o probanti. Di qui il ruolo decisivo dell’intervento educativo. Ma di qui, anche, le difficoltà che la teorizzazione pedagogica incontra nella definizione di tale intervento.

Nel nostro contesto sociale diversi mutamenti profondi hanno modificato i comportamenti e gli stili di vita delle persone, ponendoci di fronte a questioni che implicano una necessaria problematizzazione dell’educazione e l’individuazione delle pratiche formative per l’orientamento del soggetto. Le tendenze dell’attuale società, in questo particolare momento storico, vedono l’educazione spinta verso modelli efficientisti e produttivisti, che riducono l’uomo ad una dimensione prevalentemente economicista, in qualità di produttore- consumatore.

Chi lavora e opera nel settore della formazione delle risorse umane auspica percorsi che sappiano orientare la formazione dell’uomo postmoderno nella direzione di valorizzare il carattere umanistico, obiettivo sempre più difficile da sostenere nella realtà attuale.

Ad esempio, nel contesto formativo scolastico, la recente diffusione delle discipline cosiddette STEM, acronimo di Science, technology, engineering and maths, ha aggiunto la A di Arts al suo in terno, divenendo STEAM, quasi a sottolineare ed evidenziare la necessita di un dialogo profondo tra mondo della tecnica e mondo dell’essere, ponendosi una domanda fondamentale: quale soggetto si intende delineare per il futuro? Come orientare i discenti e attraverso quali valori?

Immaginare un campo valoriale di riferimento per i cosiddetti soggetti in fase di sviluppo è diventata un’operazione difficile, che spesso richiede un forte lavoro metacognitivo sulla propria figura di educatore e pedagogista. Nell’incerto orizzonte semantico e pratico legato agli interventi sul campo il pensiero e le azioni dell’educatore rischiano da una parte di non avere basi sufficientemente coerenti, dall’altra di delineare percorsi incerti e poco credibili.

Le agenzie educative tradizionali annaspano di fronte al consolidarsi di pratiche difficilmente scalfibili e improntate sull’efficienza e sul consumo.

Farsi promotori di istanze nuove o perlomeno differenti viene spesso visto con indifferenza o peggio con un forte senso critico. Il dilagare della violenza giovanile, ad esempio, diventa terreno di dialogo solo per cosiddetti esperti e non viene attraversato nelle viscere, con e tra i ragazzi stessi.

Di fronte al senso di smarrimento che può pervadere il senso pedagogico urge il recupero di alcune istanze tradizionali che fanno riferimento proprio alla centralità del soggetto e che consentono di evitare false e facili generalizzazioni sui soggetti.

L’assenza di certezze e stabilità e la possibilità di percorrere itinerari incerti, se non impossibili, pone la pedagogia, come ogni altra scienza, di fronte a nuove sfide, per consentire al soggetto di affrontare, con strumenti e metodologie innovative.

Venute meno una parte delle istanze pedagogiche classiche su cui si sono fondati i presupposti educativi tradizionali, la pedagogia si trova a fare i conti con la necessità di riformulare il proprio statuto epistemologico e il suo apparato teorico e pragmatico.

Si evidenzia la necessità di mettere a punto nuovi paradigmi della formazione, che consentano agli individui di poter cogliere ed assecondare la complessità del reale e ridefinire le soggettività.

La continua costruzione – decostruzione del sé, che il nuovo sistema di vita comporta, richiede al soggetto una capacità di orientamento, che solo la formazione può offrire ed assicurare.

Le categorie attuali della molteplicità, precarietà, transitorietà, aleatorietà, rappresentano l’unico orizzonte possibile per riuscire a cogliere, in una realtà in continua e rapida trasformazione, i termini dello sviluppo umano sociale, come anche il senso e la direzione di un’azione educativa che sappia tradursi in pratiche di orientamento efficaci.

Si tratta di formare persone, soggetti predisposti al formarsi del pluralismo delle idee e delle culture, alla costruzione di dispositivi di gestione e di controllo del governo, allo sviluppo di processi di integrazione in ogni ambito, quale premessa per una convivenza solidale in un mondo sempre più espanso ed allargato. Soggetti capaci di elaborare sistemi di orientamento ed auto orientamento in diversi ambiti, personali, sociali, culturali, al fine di garantire la promozione di ambienti che sappiano preservare formule di vita ancora garanti di un’umanità possibile.

La centralità del soggetto richiede uno sguardo poliedrico, a 360°gradi, che deve fare i conti con la complessità degli interventi educativi che vengono proposti ai soggetti dell’età della formazione, interventi che nel corso degli anni si sono moltiplicati e hanno assunto forme diverse. La stessa istituzione scolastica ha mutato pelle nel corso dei decenni e oggi più che mai si sta interrogando di fronte ai cambiamenti epocali che il soggetto umano sta vivendo in termini di formazione del sé e di sviluppo della persona.

Mi sembra si possa intravedere un orizzonte comune nell’analisi di questo fenomeno; nel corso degli anni sia il corpo teorico che fa riferimento al mondo accademico sia il corpo istituzionale e gli addetti ai lavori del terzo settore hanno focalizzato sempre più l’attenzione sul bambino e sull’adolescente come soggetto.

L’approccio clinico della formazione proposto da Massa aiuta a contestualizzare e storicizzare le tecniche educative attraverso la lente della complessità, allo scopo di padroneggiarle meglio. “E’ l’educazione che per mezzo delle dimensioni intrinseche al proprio dispositivo rinvia a quelle corrispondenti di ordine naturale e biologico, psicologico, sociale, culturale, semiotico e storico. Che assegna cioè all’esistenza la sua concreta datità. È per il tramite dell’educazione come dispositivo comprensivo di ognuna di esse che avviene il passaggio tra natura e cultura, e lo svolgimento della storia”.

La scoperta dell’educazione come facoltà ineludibile nella determinazione delle persone e del soggetto in generale. La pedagogia si costituisce come disciplina indipendente, carica di una propria dignità, ponendosi in dialogo costruttivo con la psicologia e la filosofia, l’etica.

L’attivazione di uno sguardo clinico, che non deve rimandare alla postura medica o psicoanalitica, richiama l’esigenza di valorizzazione del singolo, del soggetto, con una forte importanza attribuita alle dimensioni dell’ascolto e dell’osservazione. Nello stesso tempo l’incontro di uno sguardo clinico pedagogico con la clinica psicologica può certamente favorire uno scambio costruttivo.

Questo tipo di approccio permette di sospendere l’intenzionalità progettuale dell’educatore e di collocare la dimensione interpretativa solo alla fine del processo. Proprio il carattere ermeneutico del potenziale pedagogico insito nello sguardo clinico aiuta a costruire interpretazioni condivise. L’educazione diventa scommessa in atto sul soggetto, attraverso un rapporto simmetrico e non gerarchico.

Nell’esperienza formativa e professionale, l’incontro con l’Altro e in particolare con l’adolescenza significa proprio attivare più sguardi interpretativi, rileggere più volte il ruolo di educatore, interpretare simboli e miti del soggetto in educazione. Nelle situazioni più difficili l’attivazione di tale sguardo consente il disvelamento della trama di miti e di latenze che solitamente riguardano il soggetto sofferente, deviante, problematico.

L’aveva già intuito il grande filosofo ebreo Levinas, che ha costruito un impianto filosofico basato sull’etica e sull’importanza dell’Altro. Afferma Levinas3 che lo sguardo assolutizzante del pensiero occidentale che pretende di dominare la natura e di fondare verità scientifiche assoluta deve fare i conti con il mistero dell’Infinito, ovvero con l’Altro. L’Altro presuppone un fondamento etico che si basa sull’essere per gli altri, donarsi, ciò che conta non è il discorso sull’essere ma la relazione con l’Altro.

Il processo educativo nelle condizioni migliori riesce nel miracolo di coinvolgere entrambi i soggetti in atto, educatore ed educando, attraverso la parziale rilettura delle proprie rappresentazioni, degli schemi mentali legati ai ruoli, dei modelli culturali che guidano le logiche di interpretazione e comprensione della realtà.  La possibilità di ri-visitare insieme tali processi consente talvolta la magia dell’incontro, divenuto “nudo”, naturale, in grado di produrre educazione.

Quali sono le caratteristiche del soggetto educante? Esiste una sorta di cassetta degli attrezzi attraverso la quale ogni persona che si avvicina alla professione di educatore e docente può utilizzare come faro orientante, come una sorta di manuale d’uso?

La risposta è ambivalente e può sembrare ambigua, può essere affermativa ma può anche tramutarsi in negativa qualora alcune caratteristiche del soggetto non siano affini alle pratiche suggerite. Dopo anni di esperienza sul campo posso affermare che esiste una sorta di formula alchemica generale per gli educatori, una sorta di postura empatica che sicuramente fin dagli esordi aiuta a capire chi è più indicato nello svolgere tale professione.

La pratica sul campo mi permette di teorizzare una sorta di postura incline al soggetto che intende educare, colui che si appresta a formare con un ruolo di protagonista nel suo territorio, nelle scuole, negli spazi sociali, nella comunità educante.

 L’adulto che si presta alla scommessa dell’originalità, del nuovo, perfino dello sconveniente nella relazione con l’altro e in particolare con le nuove generazioni deve poter sorprendere, deve scardinare, aprire un varco nella quotidianità e nel ritmo unico di tutti i giorni, deve insomma possedere una luce diversa negli occhi, nello sguardo e nella corporeità che ne determinano una vera e propria postura riconoscibile nell’atto educativo.

“Ogni persona che si avvicina all’esperimento educativo dovrebbe perlomeno tentare di assumere questo tipo di sguardo positivo, che si accende alla sola vista di un gruppo di ragazzi, che brama allorché deve cimentarsi nella sfida dell’educazione.

Educatori, insegnanti, operatori sociali, psicologi, qualsiasi profilo che voglia entrare in contatto significativo con l’altro, in questo caso l’Altro Adolescente, dovrebbe ambire a questo tipo di postura che definirei “mistica”, una sorta di abito innato che non si ha quasi bisogno di ostentare poiché lo si possiede fin già dalla propria, di adolescenza. E l’adolescenza in queste persone abita ancora vasti spazi, spesso inficiando lo sforzo educativo per una sorta di eccesso di giovinezza, sovente regalando all’attore educativo attimi inebrianti di vita professionale”4

Esistono delle ipotesi di lavoro per coloro che centrano sul soggetto la propria tensione professionale, si possono formulare piste di lavoro per orientare chi si spende quotidianamente nel lavoro con ragazzi e adolescenti?

La risposta è ovviamente affermativa, si possono condensare alcune pratiche orientanti che hanno la possibilità di tracciare alcune piste di lavoro.

In primis, occorre sospendere il giudizio sull’adolescenza e sui suoi protagonisti, azzardare una sorta di epochè dello sguardo giudicante he notoriamente l’adulto tende a costruire e materializzare intorno al mito dell’adolescenza. Purtroppo, come in qualsiasi disciplina, le categorizzazioni e le generalizzazioni non aiutano se non alla fine di un densissimo percorso di individuazione della centralità dei soggetti: i ragazzi sono diversi tra loro, hanno storie familiari e sociali diverse, arrivano da culture e subculture differenti. Il goffo tentativo adulto di creare delle categorie e di adottare un vero e proprio lessico uniformante non riesce a restituire il quadro eterogeneo delle manifestazioni di tale età.

In secondo luogo, sgombrare il campo dalla logica giudicante del “i giovani di oggi non….”, giudicare i ragazzi per ciò che non sono, definirli attraverso una logica di sottrazione lessicale non aiuta a tessere trame costruttive. Giudicare attraverso i non genera uno sguardo appiattito e sicuramente parziale.

La stessa precarietà emerge al contrario, in quella che ancora oggi risulta una delle agenzie educative più importanti, la scuola, dove si giudica per accumulo di conoscenze, dove l’apprendimento è sequenziale e graduale. Non è previsto un livello di apprendimento personalizzato, intuitivo, plurale, polidirezionale.

Ancora, “occorre costruire ipotesi di lavoro coraggiose, che sappiano offrire alternative all’attualità, alla società dell’immagine, al consumo. Assumersi il rischio di proporre percorsi che mettono realmente in gioco dinamiche trasformative, scommettere sui progetti intergenerazionali, favorire esperienze generative”5.

Esiste, infine, l’educazione della cura, si rivolge ai soggetti più deboli, in difficoltà, appunto. Vi è una bellissima frase di Heidegger che dice: “la cura ha a che fare con l’esistenza, anzi è la struttura dell’esistenza”6.

Referenze

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  2. Cambi F., (2008) La “questione del soggetto” come problema pedagogico, Studi sulla formazione, ISSN 2036-6981 (online), © Firenze University Press, pag.99.
  3. Levinas, Totalità e infinito, 1961.
  4. Manici S. , 2021, Adoles-scemi? Manuale di resistenza per ragazzi/e, Erickson, Trento, pag.57
  5. Marchesi A e Marmo M. (2016), Cose da fare con i giovani, Torino, pag.10
  6. Heidegger, Essere e tempo, 1927.

 

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