M. Lancini, Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta

Raffaello Cortina Editore, Milano 2023

Titolo paradossale e geniale, quello trovato da Matteo Lancini (psicologo e psicoterapeuta, presidente della fondazione Minotauro di Milano) per descrivere due aspetti della stessa realtà relazionale: la vita adulta e la vita degli adolescenti, racchiusi dentro il classico doppio legame (double bind) così ben descritto da Gregory Bateson.

Linguaggio chiaro e avvolgente, esempi fulminanti di “mamme e papà che hanno sequestrato il corpo dei figli” (p. 15), acutissime riflessioni con passaggi rapidissimi da analisi delle pratiche a inquadramento teorico. “Nella società del post narcisismo vale tutto. (…) è una società abitata da vissuti dissociativi, è la società dell’estremizzazione di sé stessi, che non si limita a chiedere ai bambini e adolescenti di nascere e crescere secondo aspettative ideali e competitive, ma iperidealizza il Sé in nome della propria fragilità adulta fino a chiedere alle nuove generazioni di crescere secondo il mandato paradossale: “sii te stesso a modo mio!”. La sparizione dei bisogni dell’altro, chiede alle nuove generazioni di assolvere un compito che costringere a sentire di essere sé stessi, mentre si cresce assecondando l’adulto” (p. 16).

Stupenda la descrizione della madre virtuale che grazie a WhatsApp governa la famiglia e gestisce l’agenda dei figli in una quotidianità che riduce la vicinanza fisica in cambio di un avvicinamento emotivo senza precedenti.

Ma lo scopo educativo non è più plasmare i figli secondo rigidi dettami, ma fornire loro tutte le risorse necessarie alla realizzazione e al raggiungimento dei successi personali e sociali. Così “risulta sempre più importante far capire che ogni decisione viene presa in nome della crescita e dello sviluppo delle potenzialità individuali. Il “devi obbedire” del passato è sostituito dal “Devi capire”. (p.26).

Ad una infanzia adultizzata segue ora un’adolescenza fortemente infantilizzata.

E se nell’infanzia “sei bello, sei popolare, sei intelligente”, con l’arrivo della pubertà scocca la mezzanotte e l’abito elegante si trasforma in zucca. E “non sei abbastanza popolare, non sei abbastanza intelligenza, non sei abbastanza bello” (p.34).

La fragilità adulta

Così si manifesta in tutta la sua ampiezza la fragilità adulta “legata al desiderio di figli sempre più unici, sempre più programmati, sempre più iperinvestiti. Legata forse anche al senso di colpa e di inadeguatezza di fronte di fronte all’aver messo al mondo dei bambini pur continuando a dare molto spazio ad altri aspetti della propria vita e della propria socialità” (p. 41).

Una fragilità adulta che si trasmette poi ai bambini e agli adolescenti che sentono di essere davvero se stessi solo se comprendono fino in fondo quello che l’adulto riversa nelle loro menti. “Una sorta di intelligenza artificiale ch eli governa, capace di modula il pensiero e le parole da dire…. Cosi per i nostri figli e studenti oggi è sempre più difficile poter pensare i propri pensieri, accedere alle proprie verità affettive e poterle comunicare” (p. 43).

In sostanza con il post narcisismo l’altro è sparito e con lui i suoi bisogni. L’adulto non ascolta e non si fa guidare dalle esigenze e dalle peculiarità dei figli, non riesce ad identificarsi con i bisogni di adolescenti alla dispera ricerca di un futuro. “Adulti talmente fragili da non riuscire a lasciare una eredità degna di questo nome: si erode il pianeta, si fanno guerre ma l’unica piaga, l’unico vero nemico resta internet” (p. 47).

Il mondo della scuola e il fallimento della funzione paterna

L’analisi di Lancini prosegue così affrontando il mondo della scuola e dell’educazione dove agli adulti genitori si aggiungono gli adulti insegnanti, e il mondo di internet e del digitale.

Sulla scuola incontriamo pagine davvero molto interessanti ed acute, in particolare quelle dedicate alla valutazione ed in particolare alla valutazione sommativa. “Non sei i voti che prendi” (p. 81) dice Lancini studiando le scuole che hanno messo in discussione il voto eliminandolo a favore di giudizi personalizzati senza indici numerici. In questo contesto occorre fare i conti con il fallimento della figura paterna che per riavere senso deve imparare a “stare nel fallimento e sostenere il figlio nel momento di difficoltà … smettendola di essere concentrato solo su di sé e sulla proprie fragilità” (p. 100)

Internet e il digitale

Qui veramente tocchiamo l’assurdo e l’analisi di Lancini si fa tristemente ironica.

Riporto solo due brani dal testo così da chiarire il senso complessivo.

“Viviamo immersi nella rete. Ma il paradosso è tutto qui: internet è il palcoscenico su cui ogni cosa accade e viene discussa, l’ambiente elettivo della politica e della cultura, eppure, allo stesso tempo, lo si incolpa di distrarre i ragazzi e le ragazze, di essere il nemico che li ha catturati.

Fino agli undici anni la mamma spaccia Internet, dai diciannove anni in poi se non lo si sa usare non ci si può iscrivere all’università, partecipare alle lezioni, lavorare. Ma tra gli undici anni e i diciotto anni chi lo utilizza ne è dipendente ed è da rimproverare, raddrizzare.

Perché gli adolescenti dovrebbero essere gli unici a usarlo di meno o a non usarlo affatto? Inoltre, Internet non si è forse diffuso tra i giovani e i giovanissimi anche perché gli adulti hanno avuto paura di cosa potesse accadere loro fuori dalle mura domestiche, nei parchi, nei cortili, per le strade? Il mondo esterno è stato paranoicizzato, dipinto come pericoloso, e i ragazzi hanno trovato nuovi spazi di gioco e di socializzazione online” (p.115).

“…Internet dovrebbe essere non solo tenuto in forte considerazione ma anche accolto dalla scuola, dagli abitanti adulti delle ca-se dove risiedono ragazze e ragazzi e da qualsiasi istituzione educativa e formativa. Sia chiaro, ciò a cui mi riferisco non riguarda solo la presenza di un accesso alla rete, già disponibile in molte scuole. E non c’entra nemmeno con la scuola digitale e con il Piano nazionale a essa dedicato (PNSD) introdotto dal 2015, che punta all’innovazione del sistema scolastico e sulle opportunità dell’educazione digitale. A mio parere la scuola italiana dovrebbe essere sempre connessa, collega con una rete wi-fi ad altissima velocità, sempre a disposizione, sempre utilizzabile dagli studenti, così come accade nelle abitazioni italiane, nelle università, negli alberghi, sui treni, negli aeroporti, nei bar e in tutti i luoghi di lavoro. Incredibile che, invece, tutte le scuole italiane non siano connesse in questo modo.

Le scuole, e non è una provocazione, dovrebbero essere sempre aperte e connesse ventiquattro ore su ventiquattro, come succede in tutte le case, e consentire, a chi lo desidera, di restare a scuola fino a sera. Pur non tralasciando l’importanza fondamentale di una frequenza in presenza, che punti sulla relazione educativa e formativa, le scuole dovrebbero fornire la possibilità, specialmente a chi non ne ha l’occasione fuori da scuola, di collegarsi a Internet sempre e in ogni momento, nelle aule e nei corridoi, durante gli intervalli di ricreazione, le lezioni e anche le prove di verifica; insomma, ogniqualvolta l’utilizzo della rete possa favorire il raggiungimento di obiettivi evoluti, formativi e culturali” (pp. 116-119)

Conclusione

Insomma, un libro da leggere con attenzione perché pieno di spunti, riflessioni, squarci d’orizzonte.

Ad esempio: “Vorrei concludere questo libro parlando di tutto meno che di Internet, al quale ho dedicato fin troppo spazio nel libro e nella mia esperienza professionale, preventiva e clinica. Purtroppo, però, sull’uso giovanile di smartphone, social e videogiochi, si proiettano e si concentrano, oggi più che mai, gran parte delle povertà educative e delle fragilità degli adulti che vivono a stretto contatto con gli adolescenti. Dunque, ecco ancora poche parole, volutamente sintetizzate in slogan concettuali. Oggi abitiamo in una società onlife, l’abbiamo inventata e alimenta noi adulti e non ha più alcun senso continuare a non accettare questo dato di fatto: non esiste più distinzione tra vita reale e vita virtuale, tra esperienza reale ed esperienza virtuale. Internet è come la vita, anzi è la vita, in cui succede e può succedere di tutto. Interroghiamoci pure su come sia stato possibile che l’essere umano facesse questa fine, ma, nel frattempo, concentriamoci su come aiutare e sostenere le nuove generazioni a vivere in questo presente, a individuare e allenare i propri talenti, a realizzare sé stessi e a dare forma al proprio vero Sé nella società on life” (p. 190).

Una ricetta (per chiudere)

Ognuno è unico e nessuno è uguale a un altro. Non esistono ricette o formule che consentano di declinare la nostra funzione affettiva, educativa relazionale.

Se però proprio se ne vuole una, Lancini, con una stupefacente capriola concettuale, ne fornisce una in due parti, riprendendola dalle lezioni dei cuochi gourmet, Canavacciuolo in primis.

Ed ecco la “ricetta” in due mosse

  1. non fermare mai le emozioni, lasciarle fluire (e non solo in cucina)
  2. per realizzare un buon piatto, per poter aspirare a un risultato davvero soddisfacente occorre conoscere e rispettare la materia prima

L’educazione come esperienza di “cucina”.

Mi torna alla mente un maestro, Sergio De Giacinto, che proprio questo sosteneva in un libro geniale e impossibile (Educazione come sistema. Studio per una formalizzazione della teoria pedagogica, Brescia, La Scuola, 1977) che dopo affascinanti (e per me giovane studente anche abbastanza incomprensibili) formalizzazioni alla Wittgestein chiudeva dicendo che la pedagogia era una scienza “seconda”, come la arte culinaria e la medicina.

Insomma, un libro da leggere, quello di Lancini.