Dall’Italia al Camerun, nella scuola di design aperta al mondo

Silvia Botto e Daniele Khalousi, di Casco Learning sono stati ospiti per due settimane alla LABA – la Libera Accademia delle Belle Arti – di Douala in Camerun, all’interno del progetto europeo “L’art de l’inclusion”, per valorizzare i talenti di donne e giovani artisti e artigiani, per il cambiamento e l’innovazione. Accolti da Paul-Henri S. Assako direttore dell’istituto, dal 26 ottobre al 10 novembre, i formatori hanno lavorato con gli studenti e docenti.


La scuola di alta formazione in design e arte

La LABA di Douala è un istituto di formazione fondato nel 2015, dal Centro Orientamento Educativo, ONG italiana, con la collaborazione della  Libera Accademia di Belle Arti di Brescia e l’Arcidiocesi di Douala.  È la prima istituzione di istruzione superiore in Camerun e in Africa centrale che offre un corso di alta formazione e innovazione specializzato nel settore del design e dell’arte. L’obiettivo è valorizzare il contributo dell’arte e della cultura nello sviluppo sostenibile del Paese, creare opportunità di formazione professionale e di inserimento lavorativo per i giovani camerunesi. Gli studenti che la frequentano hanno dai 20 ai 30 anni e seguono laboratori di artigianato, ceramica, videomaking, fotografia, moda e design.

La “missione” in Camerun

Silvia Botto, psicologa clinica, specializzata in psicologia dei nuovi media e dinamiche familiari, ha realizzato un percorso di orientamento formativo con gli studenti, per aiutarli a scoprire i loro punti di forza e debolezza, immaginare il loro futuro, e lavorare al meglio per raggiungere i loro obiettivi.  Spiega Silvia Botto : “Il percorso Un voyage dans le travail à travers nous-mêmes indirizzato agli studenti dell’ accademia Laba aveva l’obiettivo di fare emergere nuove consapevolezze relative all’ ambito professionale. Il progetto si è configurato come un vero proprio viaggio, partendo dalle origini della scelta formativa per volgere uno sguardo al futuro lavorativo.
L’ esplorazione è partita dalle emozioni e motivazioni che accompagnano gli studenti nella vita professionale -accennando anche al proprio passato- per giungere al presente, svolgere un bilancio di competenze cercando di comprendere il proprio stato di benessere attuale trasformandolo in uno storytelling attraverso modalità artistiche innovative, come, ad esempio, la creazione di un fumetto inciso con laser.
Dopo aver ripercorso le tappe passate con un’ attenta analisi ed aver riprodotto una fotografia della situazione attuale, si auspica che gli studenti possano compiere scelte per il futuro più consapevoli e sentite.”

Per Daniele Khalousi, team manager di Casco Edu, è la seconda esperienza alla Laba di Douala: “Il contatto è stato un’educatrice che ha fatto servizio civile all’estero. Mi hanno chiesto se fossi disponibile a fare una trasferta e aiutare i docenti della LABA a mettere in moto il Fablab, un laboratorio di fabbricazione digitale con taglio laser, stampante 3D, fresa. L’obiettivo si focalizzava sulla possibilità di istruire i docenti all’utilizzo e alla manutenzione di questi macchinari per renderli disponibili agli studenti dell’Accademia.”

Cosa hanno prodotto gli studenti?

Grazie al laboratorio di fabbricazione digitale hanno realizzato tanti oggetti, opere d’arte, scacchiere, lampade, un divisorio per rendere più comodo portare oggetti con la testa. È stato interessante e curioso vedere come i ragazzi interpretano il design, le linee, i colori, i font usati in un certo modo. Quest’anno abbiamo parlato anche di intelligenza artificiale, che essi in parte conoscono. Abbiamo chiesto loro di creare una graphic novel, sfruttando l’AI, per raccontare di loro e come si vedevano nel futuro.

E come si vedono i giovani nel futuro?

Gli studenti ci tengono molto, hanno idee forti su quale è il loro obiettivo. Quando il COE ha iniziato a lavorare in Camerun ha puntato molto sull’arte, come strumento per uscire dalla marginalità e dalle difficoltà e il riconoscimento personale. L’arte è riconosciuta, c’è un grande fermento artistico e culturale. Se c’è una cosa che colpisce, è che lì ti trovi a confronto con ragazzi e ragazze dai 20 ai 30 anni che hanno le idee chiare su quello che vogliono fare, loro sanno quale è il loro obiettivo: architetto, designer, creativo, e cercano di seguire questo percorso. Se tu fai domande ai nostri giovani, per capire cosa vogliono diventare, lo facciamo spesso anche alle superiori, difficilmente hanno la stessa chiarezza. Questo è un po’ il paradosso dei nostri sistemi. Hanno le idee ben chiare, il problema è che tutta la rete sociale ed economica dovrebbe consentire di arrivare a questo obiettivo. Molti maturano il sogno di andare a lavorare all’estero.

Il contesto locale com’era?

Noi eravamo ospitati all’interno dell’Accademia, sei all’interno di una sorta di collegio, chiuso da mura perimetrali, vicino alla periferia di Douala, dove ci sono strade di fango e terra, dove vedi la povertà assoluta, i bambini che girano scalzi, che prendono l’acqua da pozzi improvvisati, dove il bordo del pozzo è fatto da copertoni. Douala è una città industriale con 3,8 milioni di abitanti, non turistica, ma molto locale, con un fermento impressionante.

Cosa vi portate a casa da un’esperienza di questo tipo?

La parte bella è il rapporto umano. Ci ha sorpreso che ci hanno ringraziato per aver fatto delle presentazioni in doppia lingua. Lì è il senso: il valore che loro riconoscono a quello che insegni, sapere che puoi fare la differenza. Loro te lo fanno sapere in ogni modo. E questa è la parte che compensa tutte le difficoltà.

Quali idee replicare qui?

Più che idee, quello che ci è piaciuto di loro è il modo di raccontarsi, hanno le idee chiare su quali linee usare, su quali nomi di brand creare, vedere il gusto africano legato non solo alla design, ma alla progettazione. Una cosa straordinaria è stata chiudere l’esperienza con l’attività sportiva.

Una sfida Italia – Camerun?

L’anno scorso era stata una partita di calcio, quest’anno c’è stata una sfida a pallavolo, con squadre miste, studenti e docenti. La cosa straordinaria è che hanno costruito il campo da pallavolo da zero, in poco tempo: rete, pilastri, tutto. L’arbitro aveva il fischietto realizzato con la stampante 3D lo scorso anno. 

Cosa hanno apprezzato di più di questa esperienza?

È stata un’occasione per confrontarci, credo che sia importante per loro vedere nuove soluzioni, che abbiamo proposto. Credo abbiano apprezzato molto il lavoro fatto su loro stessi, dove si parla di contesti emotivi ed emozionali, perché se la macchina si ferma non puoi fare nulla, mentre sulle relazioni puoi lavorare. E questo è quello che ha avuto più successo. Ci auguriamo che loro abbiano sempre il desiderio di affermarsi come persone, di non arrendersi a tutte le difficoltà.

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