
Il titolo dell’ultimo lavoro di Walter Siti (C’era una volta il corpo) utilizza un modo di dire che rimanda da un lato alle prime parole delle favole (C’era una volta un principe, una principessa, …) e dall’altro alla contrapposizione tra un tempo andato e un adesso, tra un passato e un oggi o, più probabilmente, un futuro.
Ed è proprio a questo futuro del corpo che Walter Siti guarda, senza particolari nostalgie per il passato.
Che è e che sarà del corpo?
L’essay di Siti parte dalla consapevolezza che oggi i corpi non sanno più dove si trovano (“fanno fatica a geolocalizzarsi” p.19), chi sono, cosa sono.
Da qui l’avvio della ricerca il cui obiettivo è “il percorso naturale e storico del corpo” (p.20) mediante l’analisi delle torsioni dell’oggi e le prospettive del domani.
Dopo un iniziale excursus storico (definito dallo stesso autore come “rozzo”, anche se in realtà è denso di spunti interessanti, quale ad esempio la definizione di letteratura come luogo nel quale mente e corpo sono intrinsecamente legati – p. 27, quasi un manifesto post cartesiano) il viaggio di Siti prende avvio divenendo una fenomenologia del corpo entro tre spazi ben definiti: il primo è i Quadrilatero della moda di Milano dove Siti abita, il secondo è Siti stesso, il suo sentire, la sua esperienza, il suo corpo; il terzo è l’immenso spazio dei social e della pubblicistica (p. 32).
La domanda a cui la fenomenologia intende rispondere è molto chiara: cosa sta succedendo ai corpi? Cosa fa e che funzioni ha il corpo oggi?
E da qui il percorso di Walter Siti si snoda attraversando esperienze, saperi, situazioni, vissuti che interpellano il divenire del corpo e i cambiamenti che riguardano ciò che il corpo è e fa.
Si attraversano così le contraddizioni del woke e del genderless, il body positivity e il body shaming, i tatuaggi e il pornoterrorismo della performer Diana JTorres . Il corpo che invecchia e si ammala e il ricorso a tutti i mezzi possibili per nascondere l’età sino ad arrivare a neuralink che sviluppa interfacce neurali impiantabili trasformandoci in cyborg (cybernetic organism) pronti per entrare nel transumanesimo passando per le visionarie teorie di Ray Kurzweil ed il suo concetto (ma anche istituzione universitaria) di singularity (che possiamo definire come il momento nel quale l’intelligenza artificiale raggiungerà l’essere umano e poi darà vita a “un’esplosione di intelligenza” e che – secondo Kurweil – nel 2045 porterà alla fusione tra essere umano e computer).
Intermezzo: a che serve la letteratura?
Ma che tipo di libro è questo che abbiamo tra le mani? Non un “romanzo”. Ma neppure un saggio nel senso classico del termine. Un viaggio, forse. O, meglio, una indagine.
Del resto, come lui stesso ha scritto, “credo che la letteratura, come la intendo io, sia un modo di conoscere la realtà non surrogabile da altri tipi di conoscenza; se sparisse dal mondo sarebbe come fare senza la chimica o la storia (pag. 67). Il maggior obiettivo della letteratura non è la testimonianza ma l’avventura conoscitiva (pag. 89).
Sono passi ripresi dal volume del 2021 intitolato emblematicamente Contro l’impegno. Riflessioni sul bene in letteratura. E qui molto pertinenti visto che Siti ha appena definito la letteratura come il luogo nel quale mente e corpo sono intrinsecamente legati. E quindi si fanno essi stessi “avventura conoscitiva”
Sui disastri (non solo letterari) che a volte derivano dall’idea che la letteratura abbia come compito quello di educare/formare/difendere tesi precostituite ho letto di recente pagine strazianti in Volga blues. Viaggio nel cuore della Russia di Marzio G. Mian (Gramma – Feltrinelli, Milano 2024). Mian, dopo aver incontrato all’inizio del suo viaggio sul Volga Marina Ganiceva – vice presidente dell’Unione degli scrittori russi – ricostruisce lo storia della associazione il cui statuto stabiliva al tempo di Stalin che “la letteratura ha lo scopo di formare al marxismo: non può esserci letteratura che non sia letteratura di classe, non può esserci letteratura apolitica“. E Mian ricostruisce le storie di persecuzione e le terribili punizioni riservate agli scrittori che osavano esser voce critica. Stessa cosa che accade oggi nella Russia di Putin sia nei confronti degli intellettuali sgraditi che dei giornalisti che osano criticare il regime o anche solo fare libera informazione.
Ma torniamo a Siti e alla sua indagine sui corpi.
Il corpo che produce, si compra, si vede, si ammala, muore…
Il corpo umano produce, si compra e si vende. E malgrado sembra sia sparito dall’orizzonte in realtà il corpo che lavora, il corpo del lavoratore, esiste ancora. Esiste ma non conta quasi nulla, ridotto a merce di cui non curarsi, da usare, sfruttare, e abbandonare sul ciglio della strada. Come accaduto a Satnam Singh, bracciante indiano, morto lo scorso 19 giugno scorso dopo aver perso un arto mentre lavorava in un’azienda agricola a Latina. Fosse stato un trattatore lo avrebbero aggiustato, dice Siti, ma era un corpo di lavoratore sostituibile e di poco valore e i padroni hanno fatto prima da abbandonarlo senza neppure portarlo all’ospedale o chiamare il 118.
E così esistono i corpi delle prostitute, dei lavoratori in nero, di quanti/e si vendono (o credono di emanciparsi) su Onlyfans (si veda – sul fenomeno – anche l’ analisi eurispes).
Eppure, scrive Siti portando sino in fondo il corto circuito cui stiamo assistendo, se a eccitare sono le immagini non sarebbe logicamente necessario che le immagini raffigurino persone realmente esistenti (p. 93). Ovvero si potrebbe fare senza corpi (“reali”): basterebbero gli avatar.
In sostanza essere se stessi significa oggi ”essere il corpo che gli altri possono valutare come la mia versione migliore” (p.86). Ne consegue che possiamo cambiare continuamente versione, come in una sfilata nel Quadrilatero della moda dove abbigliamento/sesso/desiderio si confondono e si inseguono in un contiunum genderless che va ben oltre la moda stessa e ritiene possibile scegliere il genere cui appartenere (per un certo periodo o definitivamente) a prescindere dalla dimensione biologica o da una effettiva transizione F2M o M2F. (E qui, nel corso del nostro colloquio, Walter Siti ha avuto una battuta esilarante: “siamo sicuri basti davvero autodefinirsi F o M per esserlo? E se così fosse un M che si autodefinisce F può chiedere di andare in pensione anticipata con Opzione Donna? E l’Inps che ne penserebbe?”)
Domande radicali su corpo e tecnologie
E poi, se esiste l’intelligenza artificiale possono dire che esistono anche desideri artificiali? (p.94)
E la tecnologia può essere un corpo? (nb: non avere ma essere!).
Scrive Siti (p. 138):
“per evitare la vertigine futuristica bisogna fare un passo indietro e rendersi conto che la distinzione tra corpo organico e materiale inorganico non è così netta come il nostro orgoglio umanistico vorrebbe farci credere. Dalla scoperta del fuoco all’uso della selce scheggiata in poi, il corpo umano e la techne non sono mai stati due entità contrapposte ma hanno sempre formato un sistema interattivo. Invece di essere concepito come un sistema chiuso, il corpo dovrebbe piuttosto essere pensato come luogo di accoglienza, come “pellicola liminale“. Insomma il corpo umano non è più al centro nemmeno di se stesso. II corpo umano è sempre stato un’entità ibrida e ha subito continue riconfigurazioni; la civiltà stessa è un processo di antropodecentramento – forse il “corpo” come l’ammiriamo al cinema o come l’abbiamo imparato dalla statuaria greca non è mai esistito“
Fondamentale qui il richiamo a Gilbert Simodon, psicologo e filosofo della tecnica, e al suo volume del 1958 intitolato Del modo di esistenza degli oggetti tecnici (edizione italiana Orthotes editore).
Secondo Simodon “le funzioni autoregolatrici sono compiute meglio dalla coppia uomo-macchina che dall’uomo solo o dalla macchina sola“. “Più l’oggetto tecnico si individualizza, più la finalità esterna svanisce a vantaggio della coerenza interna del funzionamento“
Continua allora Siti: (p. 140):
“è come se (evolvendo per “mutazioni” e non in modo rettilineo) la macchina perdesse il proprio carattere di artificialità e quasi desiderasse diventare un organismo. Superando il “facile umanesimo” che concepisce la macchina come “straniera”, si deve pensare la tecnologia come qualcosa che si condensa spontaneamente (come fanno i colloidi o i cristalli) secondo linee di forza omologhe alla situazione culturale di quel luogo e di quel tempo.
Se il “transumanesimo” del cristiano eretico Teilhard de Chardin puntava diretto allo spiritualismo, e se alcuni guru delle moderne tecnologie (come Larry Page, Ray Kurzweil o Elon Musk) perseguono il sogno gnostico di una “umanità nuova”, il post umanesimo disincantato promuove l’idea di uno “sforzo tecnopoietico” che l’uomo integrato alla techne dovrebbe compiere, consapevole che l’epifania delle nuove strutture è solo in parte da lui controllabile.”
Ne consegue così, chiude Siti, che
“il futuro della Al non è quello computazionale, cioè svolgere con sempre maggiore rapidità miliardi di calcoli (ormai la chiamano la good old fashioned Al), ma sarà basato sulle reti neurali e sull’apprendimento per esperienza, o per rinforzo, con “ricompensa” quando la macchina ottiene il risultato voluto. Esattamente come fanno gli uomini nella loro combinazione mente-corpo. Si parla sempre più spesso di embodiment della AI, di “conoscenza incarnata”, e ci si chiede se le macchine arriveranno ad avere una “propriocezione”, cioè una percezione delle loro componenti come quella che l’uomo ha istintivamente delle proprie parti interne ed esterne. Il corpo che stiamo dando alle macchine verrà tolto a noi? Potrà anche la macchina obbedire al proprio “istinto” invece che a ordini impartiti dagli “umani”? La sua esperienza sarà così densa di livelli da possedere addirittura un inconscio? Domande formidabili, che per ora la tecnologia asservita all’economia sta mandando in vacca: le aziende organizzano (al posto dei vecchi brainstorming) dei bodystorming in cui si mandano gli impiegati a fare esperienze sul campo, per capire meglio le esigenze dei consumatori e migliorare i modelli da lanciare sul mercato.’ A Davos i padroni della finanza provano per un giorno nei panni del consumatore verde mainstream”. (pp 141-142)
Si tratta di passaggi fondamentali che immediatamente Siti colloca nella sua esperienza milanese dove, nel Quadrilatero della moda, incontra
“corpi in transizione, non nel consueto di transizione di genere, ma che rappresentano le avanguardie dei corpi che passeggeranno quando io non ci sarò più. Però niente nostalgie conservatrici: più che altro curiosità per i futuro dei corpi nell’epoca della loro riproducibilità tecnica (…) (futuro nel quale) il sesso sarà sempre più online, le differenze genitali avranno sempre meno importanza culturale, l’allungamento della vita fino a centocinquant’anni e la buona salute tecnologicamente garantita consentiranno esperimenti audaci; muterà il rapporto tra principio di piacere e principio di prestazione, tra i corpi vivi e i morti sarà difficile distinguere grazie all’intelligenza artificiale.
Saranno corpi fragili a furia di contrastare la fragilità, corpi per buona parte inutili alla riproduzione della specie; lo smart working li avrà disabituati allo spazio, anche la realtà circostante sarà virtuale come il fine a cui tenderà il loro fisico. Eccoli in quattro su una scalinata: le due ragazze in minigonna nera e calze a rete, cosce forti, salendo misurano con gli occhi la meta – i due ragazzi con le unghie dipinte e gli orecchini, il torace depilato, si sporgono come una bandiera che trema.
Ecco la nuova specie: i loro corpi saranno gli involucri in apparenza tradizionali di un sistema culturale sempre più in affanno, in un mondo che si sarà rassegnato a essere bersagliato da segni che non capisce; le voci che udranno durante il lavoro o l’intrattenimento saranno in maggioranza voci sintetiche. Corpi che comunque non potranno fare a meno di desiderarsi, e magari di amarsi.” (p 144)
E qui l’indagine-viaggio si chiude. Lasciandoci di fronte ad un corpo1 (il nostro? l’altrui?) figlio degli incroci tra intelligenze artificiali, i desideri artificiali e forse (persino) gli inconsci2 artificiali. Estensione controllata e ipertecnologica risultato della complessa e continua trattativa tra cultura, tecnologia, biologia.
Un corpo che – forse – si sottrae all’esistenza. Oppure – semplicemente – un corpo che ha iniziato l’inedito percorso verso quello che sarà. Verso il corpo latente, per parafrasare Accoto.
I libri citati
- Walter Siti, C’era una volta il corpo, Feltrinelli, Milano, 2024
- Walter Siti, Contro l’impegno. Riflessioni sul bene in letteratura, Rizzoli, Milano, 2021
- Marzio G. Mian, Volga blues. Viaggio nel cuore della Russia, Gramma – Feltrinelli, Milano 2024
- Gilbert Simodon, Del modo di esistenza degli oggetti tecnici (prima ed. 1958), edizione italiana Orthotes, Napoli 2021
- Vittorio Lingiardi, Corpo, umano, Einaudi, Torino 2024.
- David J Chalmers Più realtà I mondi virtuali e i problemi della filosofia, Cortina editore, Milano, 2023
L‘incontro / dialogo con Walter Siti si è tenuto, su invito della Biblioteca Civica di Parma e del responsabile del Sistema Bibliotecario Michele Corsello, il 12 dicembre 2024 (qui il resoconto di Repubblica Parma)

- Segnalo qui il volume di Vittorio Lingiardi, Corpo, umano, Einaudi, Torino 2024. Come scrive il filosofo Maurizio Ferraris (recensione pubblicata su La Lettura del Corriere della sera del 22 dicembre 2024): “noi non siamo il nostro cervello, ma non perché siamo spirito impalpabile, bensì per il motivo opposto, perché siamo il nostro corpo, tutto intero, che detta le sue urgenze. Questo fa sì che il nostro essere nel mondo sia molto simile a quello di ogni altro organismo, visto che per l’appunto siamo assillati dai bisogni della carne, e insieme diametralmente opposto a quello di ogni meccanismo, che si tratti di una sveglia o del più sofisticato dei computer. Loro non subiscono le imposizioni del corpo, e questo semplicemente perché sono un assemblaggio di parti che non forma un organismo, che non ha altro fine che sé stesso, bensì un meccanismo, che esiste solo in funzione dello scopo per cui è stato progettato, che si tratti di svegliarci oppure di fare tutto, in quanto macchina universale, ma rispondendo a esigenze nostre e non sue”.
E continua, affrontando il complesso rapporto corpo/tecnologia: “ è proprio perché abbiamo un corpo che proviamo sentimenti come il dolore, l’ansia, la noia, inconcepibili in un meccanismo, o siamo spinti dal desiderio, dalla fame o dalla volontà, che di nuovo sono fuori della portata di un meccanismo; il che, sia detto di passaggio, suggerisce quanto insensato e favolistico sia il timore di un computer aggressivo e maligno che prende il potere. Non può succedere: per provare simili desideri bisogna possedere un corpo, non necessariamente umano, ma un corpo, che si distingue dalla macchina per una circostanza banale ma fatale, quella cioè per cui il corpo ha solo una alternativa, o è acceso o è spento, e se è spento lo è per sempre; mentre la macchina si può accendere e spegnere una quantità di volte con piena indifferenza, così da non provare né i piaceri e i tormenti della vita, né l’anticipazione angosciosa della morte, né il senso di star vivendo una storia che è unica e non si può riscrivere, per cui è necessario darsi da fare”. - Su inconscio artificiale si veda la recente riflessione di Massimo Sideri del Corriere della sera (Login) a partire dal “sistema Zero” studiato da Massimo Chiriatti di Levono, Giuseppe Riva della Cattolica di Milano e altri e che si inserisce sulla scia dell’approccio proposto da Daniel Kahneman, che immaginava la mente divisa in un Sistema 1 (intuitivo, pensiero veloce) e un Sistema 2 (razionale, pensiero lento). I due studiosi italiani sostengono che il Sistema 1 e 2 si affidano sempre di più a input di informazioni che provengono principalmente da strumenti tecnologici basati sui dati (ad esempio, la ricerca Google, Google Maps, ChatGPT e altri assistenti AI). Questi strumenti elaborano grandi quantità di dati e forniscono informazioni agli utenti, agendo di fatto come intermediari tra il mondo esterno e i nostri sistemi cognitivi. Pertanto, i Sistemi 1 e 2 non operano più esclusivamente su informazioni acquisite tramite esperienza diretta o fonti tradizionali, ma sono ora fortemente influenzati dagli output di questi strumenti basati sui dati.
E cosi Chiriatti e Riva arrivano a sostenere che questa integrazione della tecnologia nei nostri processi cognitivi è diventata così fluida che potremmo non riconoscere nemmeno consapevolmente la misura in cui il nostro pensiero è modellato da questi sistemi esterni basati sui dati.
Un inconscio artificiale, si chiede Sideri? O una mente estesa, come proposto dal filosofo David J Chalmers nel volume Più realtà I mondi virtuali e i problemi della filosofia (Cortina editore, Milano, 2023)
Su Inconscio digitale si veda invece il volume di Giuliano Costigliego, Inconscio digitale e sostenibilità. Per una psicopatologia della vita quotidiana digitale, Fondazione per la sostenibilità digitale, Roma 2023