L’intelligenza artificiale (AI) sta rapidamente trasformando il panorama educativo e può essere un’alleata per creare aule più inclusive, dove non lasciare indietro nessuno. Questa trasformazione è stata discussa in dettaglio nel webinar “Inclusive Learning through AI” organizzato dallo Sweden Emilia-Romagna Network (SERN), che si è svolto il 6 ottobre 2025.
La vera grande sfida che gli educatori affrontano quotidianamente riguarda la diversità in classe. La domanda cruciale è: “come può un insegnante soddisfare le esigenze uniche di ogni studente?”. In una classe di 20-25 ragazzi, diventa estremamente difficile fornire a ciascuno esattamente ciò di cui ha bisogno. La composizione delle classi è un “mondo a sé,” un mix di studenti con background, abilità e necessità diversissime: c’è chi ha difficoltà di apprendimento, chi sta ancora imparando la lingua locale, o chi, essendo un genio in una materia, rischia di annoiarsi. È chiaro che l’approccio didattico basato sulla “lezione taglia unica” non funziona o funziona solo per pochi.
Il caso svedese
Per comprendere la dimensione di questo fenomeno, ecco i dati provenienti da Linköping, in Svezia, presentati da Eric Hängerson e Oscar Hanson, rappresentanti del dipartimento di istruzione della città. In questo Comune, il 13% degli studenti non parla svedese come prima lingua, e il dato sorprendente è che nelle scuole locali si parlano ben 50 lingue madri diverse. Di fronte a una realtà così complessa, è inevitabile che un modello di insegnamento tradizionale entri in crisi.
È in questo contesto che l’AI entra in gioco, non per sostituire gli insegnanti, ma come un assistente per personalizzare i contenuti per gli studenti.
A Linköping sono già in uso strumenti come Google Workspace e Gemini nella didattica quotidiana. Il Comune ha condotto sperimentazioni con insegnanti e dirigenti scolastici, e i risultati positivi ottenuti hanno portato all’investimento in Gemini Education per tutti i 6.000 membri del personale.
Il tema è attuale: il 40% dei quindicenni svedesi usa già l’intelligenza artificiale, spesso in autonomia a casa, senza la supervisione di un adulto o di un insegnante. La tecnologia è già nelle mani degli studenti, e la scuola ha il dovere di insegnare a questo 40% a usarla bene, preparando al contempo il restante 60% al mondo che li aspetta.
L’AI per l’inclusione: esempi pratici
Nella pratica, l’AI agisce come un catalizzatore della personalizzazione. Un esempio concreto? l’insegnante prende un testo di fisica, lo fornisce all’AI chiedendole di renderlo più chiaro, oppure di tradurlo in arabo per uno studente appena arrivato, o infine crea un piccolo quiz basato sul testo. Queste operazioni oggi si realizzano con una velocità che prima era impensabile.
Come sottolineato dagli educatori di Linköping, “L’AI non è un sostituto, è un potenziatore”. È paragonabile ad un assistente che si occupa della gestione delle parti più meccaniche del lavoro, liberando tempo prezioso ed energie mentali per l’insegnante. Questo tempo recuperato permette al docente di dedicarsi esclusivamente a ciò che solo un essere umano può fare: creare relazioni, motivare e ispirare.
Anche gli studenti possono creare materiali e immagini originali per i loro progetti, o utilizzare l’AI come un compagno di studi personale, una sorta di tutor che li aiuta a ripassare (ad esempio, creando flash card), senza mai fornire la soluzione pronta.
L’approccio complementare: formazione e umanità
Dalla Svezia ci si sposta in Italia, a Parma, dove l’approccio, pur diverso, è perfettamente complementare. L’esperienza è stata presentata da Ivano Stella di CASCO Learning. A Parma si è compreso che la tecnologia rappresenta solo uno strumento, ovvero metà della soluzione; l’altra metà, la più importante, è rappresentata dalle persone. Per questo motivo, il focus principale è posto sulla formazione degli insegnanti.
Ivano Stella, formatore e facilitatore di progetti, appassionato di tecnologia e del suo impatto sociale, ha evidenziato il contributo dell’AI nel rendere l’istruzione più inclusiva, fornendo esempi di traduzione in tempo reale e apprendimento personalizzato, in particolare per gli studenti con bisogni educativi speciali e disturbi dell’apprendimento.
Non è però sufficiente dotare le scuole di tablet o software; è cruciale spiegare come funziona l’AI, analizzare i rischi etici e, soprattutto, insegnare come usarla in modo creativo per rendere la didattica più inclusiva. Si tratta di dare potere agli educatori. Ivano Stella è stato affiancato da Marcello Scaravella, digital maker e architetto, e Michelle Mazzotti, psicologa e pedagogista, entrambi di CASCO Learning, che hanno illustrato le potenzialità dell’AI a beneficio sia degli studenti che degli insegnanti.
Per raggiungere questo obiettivo, è stato creato un ecosistema collaborativo, una rete che unisce scuole, associazioni, aziende, psicologi e pedagogisti. L’obiettivo è costruire insieme metodi di insegnamento che siano innovativi, ma sempre e comunque centrati sulla persona. Da qui l’appello ai docenti a unirsi in questa “battaglia” per rendere la scuola più inclusiva e creare un impatto sociale significativo, con l’invito a restare informati e a seguire iniziative e futuri eventi su questo tema.
Le competenze chiave per l’uso responsabile dell’AI e il ruolo del docente
Mettendo insieme le esperienze di Svezia e Italia emerge un modello chiaro per l’utilizzo responsabile dell’AI in ambito scolastico. Per gli educatori svedesi, sono tre le competenze chiave che ogni studente deve assolutamente sviluppare nell’era digitale:
- Autonomia (Agency): la capacità di essere al comando e di non subire passivamente la tecnologia, usando l’intelligenza artificiale come utenti attivi, e non “consumatori pigri di risposte”.
- Pensiero Critico: poiché l’AI non è un oracolo infallibile, può sbagliare o presentare dei pregiudizi. Gli studenti devono imparare a porsi domande, verificare le fonti e giudicare se l’informazione ricevuta è valida e ragionevole.
- Responsabilità: Questa è la conseguenza diretta delle prime due. Avendo il controllo e sapendo analizzare criticamente, si diventa responsabili di ciò che si produce con l’AI e di come la si utilizza.
Non si tratta solo di adottare un nuovo software, ma di ripensare completamente il modo di insegnare e di apprendere. Se l’intelligenza artificiale si assume il compito di personalizzare le lezioni, correggere i compiti e tradurre, si apre una riflessione cruciale sul nuovo ruolo insostituibile del docente, che resta una guida essenziale che insegna quelle competenze trasversali, umane, che nessuna macchina potrà mai replicare.