Giuseppe Riva – Io, Noi, Loro. Le relazioni nell’era dei social e dell’IA

Il 24 gennaio 2025 è apparso in libreria l’ultimo studio di Giuseppe Riva, psicologo dei media digitali e docente all’Università Cattolica di Milano, dove dirige anche il Humane Technology Lab.

Il libro, intitolato Io, noi, loro. Le relazioni nell’era dei social e dell’IA è pubblicato da Il Mulino dove Riva ha precedentemente pubblicato molti dei suoi saggi (tra questi Psicologia dei media digitali – con Tiziana Mancini, 2023, Nativi digitali. Crescere e apprendere nel mondo dei nuovi media – 2019 e Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità – 2018).

Il volume si basa sui più recenti studi delle neuroscienze sociali e cognitive e mostra come i social media possono sia risorsa che pericolo per gli adolescenti.

Riva, attraverso un’analisi scientifica ed esperienziale, esamina

  • le basi neurobiologiche del “senso del Noi” e il ruolo cruciale delle interazioni faccia a faccia nel promuovere empatia, fiducia e cooperazione;
  • gli effetti della comunicazione digitale, spesso frammentata e superficiale, che ci lascia connessi virtualmente ma isolati emotivamente.

Luoghi fisici e corpi in interazione

Riva sostiene che “le vere relazioni sono profondamente radicate nei luoghi fisici e nelle interazioni corporee. Il nostro cervello, infatti, è programmato per collegare i luoghi che frequentiamo alla nostra identità. I neuroni GPS, ad esempio, ci aiutano a costruire la nostra memoria autobiografica e a definire chi siamo in base ai contesti in cui ci troviamo: siamo studenti perché frequentiamo la scuola, tifosi perché andiamo allo stadio”.

L’identità sociale si forma attraverso il corpo, in particolare grazie ai neuroni specchio che ci consentono di percepire istintivamente emozioni e intenzioni altrui. Nell’interazione fisica, cooperiamo inconsapevolmente: ci adattiamo alle reazioni degli altri e loro alle nostre, creando una continua sintonia condivisa”.

La tecnica dell’Hyperscanning (elettroencefalogramma simultaneo di più persone) ha ad esempio di recente rivelato che quando interagiamo fisicamente, le oscillazioni neurali dei nostri cervelli si sincronizzano, cosa che non avviene nelle interazioni on line.

Questo ha conseguenze molto interessanti: “Uno studio condotto su una classe di studenti per dieci settimane ha dimostrato che maggiore era la sincronizzazione delle onde cerebrali – sia tra gli studenti che con l’insegnante – migliore risultava l’apprendimento. È come se i cervelli creassero una rete di elaborazione collettiva, superando la somma delle singole capacità. Questa sincronizzazione neurobiologica richiede però un’attenzione condivisa basata sullo scambio di sguardi, impossibile nelle comunità virtuali”.

On line non si attivano processi di empatia, sintonia e sincronizzazione ed i legami vengono costruiti mediante il racconto, lo storytelling. Ma nel racconto io posso inventare una identità che non esiste, un “me ideale” che si stacca dalla realtà e che non è verificabile nell’interazione fisica nello spazio reale.

Se da un lato l’empatia fisica nasce dall’osservazione diretta delle emozioni altrui, nella vita on line l’empatia viene sostituita dal contagio emotivo: un trasferimento di contenuti emotivi che possono essere costruiti strategicamente per suscitare reazioni specifiche”.

Quello che rischia di sparire, dunque, è la modalità noi, sostituita dalla modalità io.

Siamo connessi – scrive Byung-Chul Han nel suo ultimo libro intitolato Contro la società dell’angoscia, Einaudi 2025 – ma non legati. L’essere in relazione viene sostituito dall’avere contatti”. In altre parole – spiega Riva in una intervista a Elena Tebano del Corriere della Sera – “nei media digitali prevale l’io sul noi: è più importante “esserci” e farsi notare. Le comunità digitali si rivelano così “non-gruppi”: aggregazioni dove, nonostante la presenza fisica o virtuale, manca una vera coesione. Sono anche “nonluoghi” che non attivano i neuroni GPS del cervello né lasciano tracce significative nella nostra memoria autobiografica, generando un senso di vuoto e solitudine”.

Le relazioni digitali cambiano i processi cognitivi e le interazioni tra i soggetti e incidono molto sulla costruzione della persona dell’adolescente che nei social non riesce a costruire il noi. Non va poi dimenticato che le comunità digitali tendono a creare connessioni solo tra persone simili. Generano cioè quelle che gli studiosi chiamano camere dell’eco o bolle. E ciò comporta l’eliminazione del confronto con la diversità con la conseguenza che se gli adolescenti stanno solo nelle comunità digitali rischiano di bloccare il proprio sviluppo e di perdere la capacità di gestire le interazioni nel mondo reale dove ci sono anche frustrazioni, fallimenti, difficoltà, emozioni negative che occorre imparare a gestire se si vuole crescere davvero.

Insomma, come racconta qui su Casco Magazine Enrico Gotti, sono moltissimi gli studi che confermano quanto limitare i social diminuisca ansia e depressione.

Vietare i social?

Ma si tratta di diminuire o vietare?  La risposta del prof. Riva evitata inutili esasperazioni e sostiene che in realtà i “social sono una risorsa se diventano uno strumento per esplorare in modo più sfaccettato e complesso la propria identità. L’importante è che questo tipo di relazioni non sostituisca quelle reali”.

Suggerisce poi la creazione di un “patentino dei social media come prerequisito per aprire un profilo, così come chiediamo ai 14enni di fare il patentino per guidare uno scooter”. E, soprattutto, sottolinea la necessità di spingere verso esperienze reale di costruzione del noi. E quindi verso incontri fisici in spazi fisici reali evitando – e qui parla ai genitori – di pensare che proteggere i nostri figli dalle frustrazioni sia un modo di farli crescere bene dal punto di vista emotivo e sociale: è infatti vero esattamente il contrario.

Come coltivare il noi nell’era dell’AI e del digitale?

Io, Noi, Loro” non si limita tuttavia a una diagnosi dei rischi, ma propone strategie per coltivare il “senso del Noi” nell’era digitale, tra cui:

  • educare all’uso consapevole e critico della tecnologia;
  • creare spazi di incontro che integrino il mondo digitale con quello reale;
  • promuovere un’etica del rispetto e della responsabilità online.

“La tecnologia non è di per sé un nemico del ‘senso del Noi'”, conclude Riva. “Possiamo imparare a usarla in modo saggio, per amplificare le nostre connessioni e costruire un futuro più umano e solidale”.