Ragazzi di vita – Spazi dell’educare, sguardi per riflettere sul mondo giovanile, pensieri e pratiche per “stare” con i ragazzi oggi. N. 7 – Come educare i giovani al pensiero critico nell’epoca dello scroll
Avvertenze prima dell’uso: articolo di media lunghezza.
Entro in classe con un gessetto in mano e traccio una linea a terra, come Erin Gruwell in quella celebre scena di Freedom Writers
Invito i ragazzi a mettersi di fronte e poi li chiamo, uno per volta, con domande che hanno il sapore dell’educazione civica: chi di voi ha mai assistito a un’ingiustizia? chi ha mai letto una notizia online senza sapere se fosse vera o falsa? chi si è sentito escluso perché non conosceva l’ultimo trend?
Ogni passo in avanti diventa una confessione silenziosa, un gesto che mette a nudo il legame invisibile che unisce esperienze diverse. È un momento in cui la comunità si fa corpo, e il pensiero critico non si insegna come definizione astratta, ma prende forma nello spazio che si apre tra i ragazzi, nei loro sguardi che si incrociano e nei racconti che scaturiscono dopo.
Se proviamo a guardare indietro, al paradigma educativo del Novecento, vediamo un tempo in cui l’apprendimento era scandito da altri ritmi. La lentezza della lettura, la memoria coltivata pagina dopo pagina, l’attenzione nutrita da testi lunghi e argomentazioni complesse. C’era un sapere che si depositava lentamente, come strati di calce su un muro: la fatica dello studio, la ripetizione, il silenzio delle biblioteche e delle aule. Era un’epoca in cui si credeva che la conoscenza fosse un edificio da costruire mattone dopo mattone, e il pensiero critico nasceva dalla capacità di mettere in discussione, certo, ma anche di reggere la densità di un testo, di sopportare la lentezza dell’attesa, di tessere connessioni profonde tra nozioni lontane.
Oggi lo scenario è mutato radicalmente. La linea non è più quella disegnata con il gesso sul pavimento, ma quella invisibile dello scroll che attraversa gli schermi. I ragazzi non avanzano per passi, ma per pollici che scorrono. Ogni gesto è rapido, frammentato, in cerca di un contenuto che non dura più di pochi secondi.
L’apprendimento si muove per lampi e non per sedimentazione: brevi video, immagini, titoli, messaggi che si accavallano. Il sapere è diventato più leggero, volatile, quasi gassoso. Da educatore attivo la sospensione del giudizio: non si tratta di dire che sia peggiore: è diverso, e in questa diversità risiedono sia i rischi che le possibilità.
Il Novecento aveva come strumento principe il libro, custode di un tempo lento, corpo pesante e resistente, che obbligava a una postura fisica e mentale. Con l’arrivo del computer e poi di internet, il sapere si è fatto più ampio, ma anche più superficiale: la ricerca veloce, la selezione immediata, il copia e incolla hanno cambiato il modo di accedere alle informazioni.
Ora, con l’intelligenza artificiale, siamo entrati in un’ulteriore fase. L’IA non chiede nemmeno più di cercare: anticipa, costruisce puzzle di contenuti pronti, mette insieme pezzi sparsi in un mosaico coerente. Ma proprio per questo la tentazione è forte: smettere di interrogare, delegare al software la fatica di pensare.
Il compito educativo oggi non può limitarsi a difendere il passato, né a celebrare senza critica il presente. Si tratta piuttosto di riconoscere la mutazione degli stili cognitivi. La memoria non è più il fulcro come lo era una volta, ma diventa essenziale la capacità di selezionare, di discernere, di riorganizzare. I ragazzi devono imparare a costruire senso in mezzo al flusso, a trattenere ciò che conta, a connettere frammenti senza perderne la profondità. Non più solo edifici di pietra, ma architetture leggere, tende che si montano e smontano: un pensiero mobile, che sa adattarsi, ma che non deve rinunciare al rigore. Qui gli adulti educanti possono giocare un ruolo fondamentale con un’attenta guida al sapere critico.
In questo passaggio, il pensiero critico diventa l’arte di sostare. Fermarsi un istante prima di condividere, chiedersi da dove viene un’informazione, che intenzione porta con sé, a quali emozioni fa appello. Diventa anche l’arte di interrogare l’IA, di non prenderla come un oracolo, ma come un interlocutore: chiedere il perché, confrontare le fonti, riconoscere i limiti. In fondo, l’educazione al pensiero critico non ha mai significato accumulare nozioni, ma imparare a coltivare il dubbio.
Forse l’immagine che meglio descrive questa sfida è proprio quella della linea. Una volta era tracciata sul pavimento, ora è sullo schermo. Ma in entrambi i casi, il passo avanti non è mai banale: richiede il coraggio di esporsi, di dichiarare a se stessi e agli altri dove si è e cosa si pensa. Educare al pensiero critico, nell’epoca dello scroll, significa aiutare i giovani a fare quel passo in avanti, a non restare immobili di fronte al flusso, a trasformare la velocità in occasione di coscienza.